30.07.2024 – Blitz di Goletta dei laghi sul lago di Pergusa, in Sicilia, con lo striscione #Emergenzamaifinita. L’emergenza in Sicilia è figlia della siccità del Po del 2022 rimasta inascoltata e di un trend collegato alla crisi climatica, in continua evoluzione
- data Luglio 30, 2024
- autore ufficiostampa
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Blitz di Goletta dei Laghi di Legambiente oggi sul lago di Pergusa, in Sicilia, in una delle regioni più colpite quest’anno dalla siccità. A poca distanza dalle sponde del bacino lacustre, l’associazione ambientalista ha esposto lo striscione siccità #Emergenzamaifinita per ribadire al Governo e alle istituzioni che quanto sta accadendo in Sicilia è l’ennesima cronaca di un’emergenza annunciata rimasta inascoltata. L’emergenza in Sicilia – denuncia l’associazione ambientalista – è figlia della siccità del Po del 2022 e di un trend collegato alla crisi climatica, in continua evoluzione e a cui in questi anni non sono seguiti interventi strutturati nella gestione della risorsa idrica che avrebbero potuto fare la differenza per contrastare oggi il problema. Nel 2023, infatti, le precipitazioni in Italia sono state sostanzialmente nella media dopo il grave deficit del 2022, ma sono state registrate, secondo i dati forniti da Ispra, delle anomalie negative mensili durante l’anno, persistenti soprattutto da luglio a dicembre 2023 al Sud e Isole, che avrebbero dovuto essere un campanello di allarme per mettere in campo misure appropriate già da allora. Adesso, a pagarne lo scotto, sono i cittadini, i territori, l’ambiente e la biodiversità, senza contare i danni all’economia e all’agricoltura. L’anno prossimo a chi toccherà?
5 PUNTI CARDINE DI UNA CORRETTA GESTIONE
In questo scenario critico, Legambiente ha individuato cinque punti cardine che devono essere affrontati nell’ottica di uno sviluppo di una governance nazionale attenta e circolare dell’acqua, rappresentati dagli: ostacoli da superare e che stanno portando al conflitto tra gli usi della risorsa; dai limiti legati alle infrastrutture; dall’ammodernamento degli impianti; dai provvedimenti tardivi in piena emergenza; dalle soluzioni inefficaci come i nuovi invasi e i dissalatori.
In particolare, per quanto riguarda i conflitti tra gli usi, iniziano ad essere diverse le misure che vanno in questa direzione. Dalla decisione nel gennaio 2024 dove in Sardegna è stato vietato l’utilizzo dell’acqua ad uso irriguo in tutti e tre i sub comprensori centrali dell’Isola: per il distretto del Posada è stato stabilito il divieto di irrigazione, per i distretti del Cedrino e media Valle del Tirso il divieto di utilizzo in campo aperto per erbai e prati di pascolamento; a quella di maggio, sempre in Sardegna, dove il comitato istituzionale dell’autorità di bacino della Sardegna ha deliberato una nuova stretta per l’utilizzo dell’acqua dell’invaso di Maccheronis con l’obiettivo di pompare acqua nei rubinetti delle centinaia di migliaia tra residenti e turisti, restringendo però il prelievo per gli usi agro-zootecnici. In Sicilia, invece, lo scorso aprile si è arrivati alla sospensione delle forniture agricole provenienti dall’invaso Fanaco, che aveva raggiunto solo il 5% della sua capacità.
Per Legambiente, di fronte a questi scenari, è necessario poter garantire la differenziazione delle fonti, ove possibile, a integrazione dell’uso idropotabile: promuovendo la circolarità a scala impiantistica per gli usi industriali più idroesigenti, o l’utilizzo dei reflui fognari adeguatamente depurati per l’irrigazione, o, ancora, promuovendo pratiche virtuose di riutilizzo di acque depurate per diversi usi urbani, come il lavaggio stradale o l’antincendio, ad esempio, senza dimenticare l’importanza delle infrastrutture verdi che hanno molteplici aspetti positivi in ambito urbano tra cui la cattura e il trattamento dell’acqua piovana, l’ombreggiamento, la mitigazione dell’effetto isola di calore, oltre che ai sistemi di recupero delle acque piovane sui tetti degli edifici.
Basta, inoltre, alle facili “soluzioni” spesso inefficaci e inappropriate, come le ordinanze tardive, la chimera di nuovi invasi e il ricorso alla produzione dell’acqua attraverso i dissalatori:
1- Le ordinanze tardive. Tantissime ordinanze emesse in piena emergenza ma nessuno che ne verifichi l’applicazione e l’efficacia. Nel 2022 sono stati oltre 200 i comuni al centro nord ad emanare ordinanze restrittive di vario tipo (170 comuni solo in Piemonte), così come oggi sta succedendo a macchia di leopardo nel sud e sulle isole. In Molise, ad inizio luglio 2024, il Comune di Campobasso ha emanato un’ordinanza che vieta l’utilizzo di acqua potabile per usi impropri fino al 15 settembre.
2- No alla realizzazione di nuovi invasi. In Italia vi sono 532 invasi artificiali per una capacità teorica di volume invasabile pari a circa 13,7 miliardi di metri cubi e un volume di invaso autorizzato pari a circa 11,8 miliardi di metri cubi. Purtroppo, quasi un terzo della capacità non è utilizzabile per contenere risorsa idrica perché occupato da sedimenti interrati, per un volume stimato pari a circa 4 miliardi di metri cubi, mentre 1,9 miliardi di metri cubi di ulteriore capacità, già presente nel sistema, non è mai stata autorizzata perché in attesa di collaudo. Basti pensare che in Sicilia, il 34% del volume complessivo dei 29 grandi invasi dell’Isola si perde infatti a causa dell’interrimento, cioè dell’accumulo di detriti sul fondale, mentre, secondo la Direzione generale per le dighe e le infrastrutture idriche, a marzo 2023 soltanto 22 dighe dell’Isola risultavano in “esercizio normale”, altre sette erano in “esercizio limitato”, portando a 29 quelle attive e altri 11 invasi erano invece “in collaudo”, quattro “fuori esercizio” e due in “costruzione”.
3- No ai dissalatori. Per Legambiente la proposta che vede la realizzazione di impianti di desalinizzazione per avere una maggiore quantità di acqua a disposizione non è sostenibile se si pensa possa essere la soluzione continua e strutturale di approvvigionamento idrico per tutto il Paese. È una soluzione da prendere in considerazione solo in casi di necessità e in determinati periodi dell’anno e solo per realtà particolari, come possono essere le piccole isole, visti gli elevati costi economici quanto quelli energetici e ambientali associati a questa tecnologia. Per il resto del territorio è una “non” soluzione.
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