19.04.2022 – L’urgenza della transizione ecologica
- data Aprile 19, 2022
- autore ufficiostampa
- In COMUNICATI STAMPA
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In un contesto storico come quello che stiamo vivendo, fra crisi economiche mondiali indotte dalle guerre e gli ultimi strascichi di una pandemia che ha arrecato moltissimi danni umani e sociali, riconsiderare in parte il settore industriale ed energetico di una intera regione può essere considerata come parte della soluzione per una lunga serie di problemi che si sono incancreniti nel corso degli ultimi mesi, soprattutto in quei territori complessi come la Sicilia dove le comunità soffrono di una mancanza cronica di finanziamenti e di un piano a lunga scadenza che prevenga l’impoverimento culturale ed economico delle famiglie. Dalla disoccupazione della popolazione alle questioni complesse che attanagliano l’amministrazione pubblica regionale, sono davvero tante infatti le ferite aperte che rallentano lo sviluppo industriale e comunitario dell’isola più grande del mediterraneo.
Recentemente però è giunta alla ribalta una nuova esigenza, scaturita anche grazie all’Agenda 2030 che si impegna a divenire il nuovo quadro di riferimento globale per trovare soluzioni comuni alle grandi sfide ambientali del pianeta. Una necessità urgente, che potrebbe però anche aiutare il settore industriale di alcuni territori, come quello fortemente industrializzato del messinese, e far sì che la regione Sicilia possa puntare alla indipendenza energetica, o quantomeno nel ridurre le proprie emissioni, tra cui quelle dovute al trasporto dei rifiuti al di fuori dei propri confini. Tale urgenza prende il nome di transizione energetica e lo scorso 1° aprile Legambiente Sicilia ha organizzato un forum, presso l’Aula Magna dell’I.T. T Ettore Majorana di Milazzo, proprio per discuterne e presentare nuove proposte tra gli addetti ai lavori.
Inserendo il forum all’interno del progetto più ampio “SICILIA CARBON FREE”, che prevede di rendere entro il 2040 la regione ad emissioni zero, la discussione favorita da Legambiente ha visto coinvolti molteplici esperti del settore energetico, tra cui ricercatori del CNR ed universitari, e ha visto la riconversione dei poli industriali siciliani come proposta principale per governare la richiesta di cambiamento, effettuata anche dalle sedi europee, invocata per contrastare gli sprechi e il sempre più gravoso consumo delle risorse che affliggono l’isola. Ricordiamo infatti che anche a seguito della sua peculiare natura geografica, la Sicilia è una delle regioni più a rischio in Italia per quanto riguarda il settore dei trasporti e dell’energia, dovendo pagare un prezzo maggiorato in moltissimi prodotti a causa della sua mancata continuità territoriale con il resto del paese.
Un ruolo strategico all’interno del territorio per aiutare la transizione ecologica e risparmiare milioni di euro in gas importato dall’estero potrebbe essere la distribuzione e l’utilizzo di un maggior numero di centrali che producono Biometano, tramite il sistema anaerobico che aumenterebbe tra l’altro anche di molto la resa. Industria “diffusa” che da una parte aiuterebbe l’isola a mantenere gli obiettivi di riduzione di gas serra provenienti dal petrolio e dall’altra (1) aumenterebbe l’efficienza energetica interna della regione e (2) aiuterebbe a risolvere la questione della gestione dei rifiuti, inducendo il territorio a utilizzare i rifiuti organici prodotti dalla nostra popolazione non solo per produrre energia, ma anche fertilizzanti, sfruttando il digestato.
Inoltre, l’introduzione massiva delle centrali di biogas nel nostro territorio (3) spingerebbe la popolazione a svolgere una raccolta differenziata virtuosa, di maggiore qualità, (4) risolverebbe la questione degli odori molesti delle discariche e (5) aiuterebbe la crescita economica della regione, facendo assumere centinaia di operai, coinvolti all’interno degli impianti di produzione e stoccaggio del metano.
Ovviamente la proposta del biometano è solo una fra quelle possibili per riportare l’industria siciliana ad essere competitiva. E non a caso il titolo del forum di Legambiente si confà a questo nobile obiettivo: “Transizione ecologica: Quale futuro per i poli industriali siciliani?”
Gli effetti positivi di una tecnologia semplice ma che dona grandi risultati come quelli di un impianto biogas sono però l’esempio di come possa essere possibile – anche per il contesto siciliano – sviluppare competenze tecniche che permettano di limitare i danni del surriscaldamento climatico e creare ricchezza tramite la Bioeconomia circolare. “Fare rete” e istituire un consorzio fra i vari attori in atto (aziende, amministrazioni, politica, ricerca e università) porterebbe inoltre a contrastare i problemi di caro-bollette e d’impoverimento territoriale, che insieme portano ad uno scoramento da parte della popolazione e inducono i più giovani a trasferirsi in regioni dove produrre ricchezza costa meno, in luoghi in cui le difficoltà lavorative sono fortemente ridotte, relativamente ai trasporti e alla industria.
Creare una rete fra diverse realtà presenti all’interno del nostro territorio diventa perciò fondamentale, per raggiungere gli obiettivi energetici e climatici a cui l’Europa ci chiede di adeguare i nostri sforzi. E lo sfruttamento delle risorse rinnovabili, tra cui il Biometano, dovrebbe essere considerato in cima della lista degli impegni da realizzare, proprio a causa della urgenza energetica di cui sembra soffrire l’Europa e a per la semplicità di realizzazione di simili impianti. Più semplici da produrre e controllare, rispetto allo sviluppo di altre tecnologie, fra cui quella nucleare, che prevedono anni e ingenti spese prima di essere considerati a regime, in un territorio fragile e sismicamente complesso come quello della Sicilia o dell’Italia in generale.
Riguardo a quest’ultimo punto, è ormai assodato come il tema dell’energia nucleare stia diventando in Italia come in Europa nuovamente un argomento di divisione all’interno del dibattito politico e pubblico. A seguito infatti degli sforzi politici tesi a promuovere questa tecnologia da parte di alcuni reparti dell’industria e da paesi produttori di energia nucleare come la Francia, già in sede della comunità europea negli scorsi mesi si sono susseguiti pesanti e molteplici dibattiti a favore o contro l’implementazione delle centrali di “nuova generazione” su tutto il continente. A fare poi maggiore scalpore è stata successivamente la proposta d’inserimento dell’energia nucleare all’interno della lista delle sorgenti rinnovabili da parte di alcune coalizioni del Parlamento europeo e la sempre crescente “fiducia italiana” – osservabile dalle affermazioni di buona parte del governo Draghi e delle forze politiche che lo sostengono – allo sviluppo di questa tecnologia, che ricordiamo essere stata rigettata ben due volte dal popolo italiano, attraverso referendum fra i più partecipati della storia repubblicana del nostro paese.
Visti però i tentativi di influenzare attraverso il dibattito l’opinione pubblica a sostegno di questa tecnologia, in sintesi vogliamo riconsiderare alcune ragioni che spingono le associazioni ambientaliste a criticare il nucleare e a sostenere invece tecnologie meno impattati, che producono invece – come le centrali che lavorano con il biometano – risorse con meno sprechi.
Innanzitutto attualmente le centrali nucleari principalmente utilizzate sono quelle a fissione. Per quanto invero più efficienti rispetto a quelle del passato, le attuali centrali continuano a produrre scorie radioattive che ogni paese dovrebbe smaltire per conto proprio. L’idea sarebbe quella perciò di istituire dei depositi radioattivi in aree a basso impatto sismico, ma mentre nazioni come la Francia, la Germania o alcuni paesi degli USA possono essere considerati sismicamente “inerti”, ovvero non coinvolti costantemente in fenomeni tettonici e perciò considerati sicuri, l’Italia (e a maggior ragione la Sicilia) dispone di territori profondamente coinvolti in molteplici processi geologici. Individuare e di seguito costruire perciò un deposito all’interno di questi territori metterebbe a rischio l’intero territorio, per quanto profonda possa essere il sito adibito a contenere per migliaia e migliaia di anni i barili ricolmi di scorie radioattive.
Un’altra criticità della tecnologia nucleare che ci dovrebbe far propendere per l’utilizzo di vere energie rinnovabili è insita proprio nella sicurezza di queste centrali e dei relativi depositi di scorie. Per quanto infatti i sostenitori pro nuke continuino a sostenere che le centrali siano sicure, in settanta anni di utilizzo di questa tecnologia abbiamo ormai vissuto diversi esempi che contradicono questa teoria e sono per altro dubbie le ricerche effettuate sui barili utilizzati per contenere le scorie, che in alcuni casi sembrerebbero non aver retto la radioattività e il passare del tempo.
In un territorio franoso, vulcanico, sismico e soggetto alla desertificazione come quello siciliano, spendere dunque miliardi di euro per costruire nuove centrali o eventualmente depositi di scorie (poste tra l’altro in vicinanza ad alcune aree ad alto interesse naturalistico, come suggerito dalla Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee al deposito del MiTE) quando sarebbe molto meno dispendioso, sicuro ed efficiente sviluppare attivamente le centrali eoliche, solari o di biometano, dovrebbe essere obbligato, se non consideriamo gli interessi economici presenti delle forze politico/industriali che sostengono le altre alternative più onerose.
Durante l’evento di Legambiente, si è sostenuto tra l’altro come l’uso del Biometano possa contribuire notevolmente ad abbattere l’inquinamento indotto dal trasporto marittimo dei traghetti o come sia possibile ricavare moltissima energia per le comunità locali attraverso le altre rinnovabili. Dunque perché impelagarsi in progetti faraonici, come l’istituzione di nuovi possibili centrali nucleari in Sicilia, frutto di quella che alcuni critici definiscono “tecno ambientalismo selvaggio”, quando è possibile seguire una via che vada di pari passo alle necessità umane ed ambientali, compiendo il minimo danno e ottenendo il minimo spreco?
Si teme che la popolazione presto sarà chiamata a scegliere la strada che bisognerà seguire durante le prossime tornate elettorali e anche allora il contributo di Legambiente non mancherà, per sostenere le migliori iniziative e le campagne a supporto della popolazione e del rispetto ambientale del territorio.
Aurelio Sanguinetti
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