16.06.2021 – Presentato il Rapporto Cave 2021 Focus Sicilia
- data Giugno 16, 2021
- autore ufficiostampa
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Oggi, allo Spazio Mediterraneo, ai Cantieri culturali alla Zisa, Legambiente ha presentato il Rapporto Cave 2021, focus sulla Sicilia.
“È la prima volta che presentiamo il Rapporto Cave Sicilia 2021 che da quest’anno diventare un appuntamento fisso”. Gianfranco Zanna, presidente di Legambiente Sicilia, ha aperto la presentazione sottolineando che: “il rapporto fra ambientalisti, cave e cavatori è sempre stata piuttosto difficile, sia nella storia passata che in quella recente. Per esempio, la vicenda che del Parco dei Sicani, non ancora istituito per via di ricorsi presentati da alcuni cavatori. La nostra principale preoccupazione è che in Sicilia non ci siano regole certe per potere cavare. Noi ci auguriamo che anche questo settore si avvii verso l’economia circolare”.
Sintesi rapporto
Sono 442 le cave autorizzate ad operare in Sicilia, mentre sono 245 quelle dismesse, ossia che hanno terminato l’attività estrattiva e devono vedere quindi il completo ripristino ambientale dei luoghi. La Sicilia dunque si pone al vertice in Italia per numero di siti estrattivi, seguita da Veneto, Puglia, Lombardia, Piemonte e Sardegna.
I numeri delle attività estrattive in Sicilia
Sono 140 i Comuni con almeno una cava autorizzata nel proprio territorio, pari al 36,1% dei Comuni siciliani. Tra le aree con maggiore presenza di siti estrattivi si trovano Custonaci con 38 cave, Castellammare del Golfo e Belpasso entrambi con 16 siti, Scicli con 11 e Caltanissetta con 10.
Sopra quota 100 anche i Comuni con almeno una cava dismessa sul proprio territorio, precisamente 105, ossia il 26,9% del totale dei Comuni in Sicilia. Anche in questo caso Custonaci si colloca al vertice, con 18 cave dismesse, seguito da Marsala (13) e Comiso (12).
La maggior parte delle cave autorizzate in Sicilia si occupa dell’estrazione di calcare e gesso, materiali utilizzati principalmente nella produzione di cemento. Si tratta di 198 cave, ossia il 47,1% del totale. Seguono le cave per pietre ornamentali, 81 in tutto ossia il 19,2%, e quelle per basalti, lave e tufi, che sono 73 e rappresentano il 17,3% del totale.
La normativa e le sanzioni
La Sicilia fa parte di quelle Regioni dove non è previsto nessun piano di recupero per le aree di cave abbandonate, ossia di quei siti che hanno chiuso le attività prima dell’intervento normativo da parte delle Regioni, per le quali sarebbero necessari un censimento ed una conseguente riqualificazione ambientale, nonostante la probabile rinaturalizzazione spontanea di molti di questi luoghi.
In positivo va sottolineato come in Sicilia si preveda l’obbligo del recupero contestuale dei siti estrattivi. La Sicilia non mostra sanzioni particolarmente elevate in caso di illeciti, soprattutto se si pensa ai gravi danni ambientali generati. Per la coltivazione illegale l’ammenda è di €20.710, con aggravanti in caso di recidiva.
La piaga dell’abusivismo delle pietre laviche in Sicilia
Non mancano in Sicilia i casi di sequestri di cave abusive. Il comparto della pietra lavica risulta uno dei più colpiti e, per ovvi motivi, le illegalità sono concentrate nell’area orientale dell’isola.
Solamente tra il 2016 ed il 2019 sono stati effettuati 22 sequestri di cava nella Sicilia Orientale a cura del N.O.E. di Catania. Una stima del Consorzio della Pietra Lavica dell’Etna denuncia come il 20% circa del materiale lavico commercializzato negli scorsi anni non provenga da cave autorizzate.
Le proposte di Legambiente
1) Lotta alle illegalità, aumento delle sanzioni
Il controllo della legalità è una condizione essenziale per cambiare il profilo del settore. Il coordinamento delle informazioni sull’attività estrattiva è utile anche per mettere a sistema il lavoro delle Forze dell’ordine e garantire le imprese oneste.
In un contesto che riguarda una risorsa limitata e non rinnovabile è assolutamente indispensabile aumentare le sanzioni in caso di illecito, ancora esigue, e prevedere tutte le forme di potenziali illegalità, in modo da scoraggiare in partenza la criminalità organizzata e non.
2) Minori prelievi nel PRAE
Ancora troppi Piani contengono previsioni enormi di nuovi prelievi, invece di regolarne una corretta gestione, come avviene in Sicilia.
Questo accade perché le ditte operatrici nel settore spingono per ottenere le autorizzazioni indipendentemente dal fabbisogno immediato, mettendosi al sicuro rispetto ai bisogni futuri ma anche per garantirsi un adeguato credito bancario.
E’ fondamentale ripensare la pianificazione del settore in base alle vere necessità del mercato, in particolare di quello locale.
Bisogna poi stabilire regole uniformi per le aree in cui l’attività di cava è vietata. Come aree protette e boschi, vicine a corsi d’acqua, aree sottoposte a vincolo idrogeologico e paesaggistico.
Non è sufficiente rimandare il divieto di estrazione a tutte le aree non incluse nel Piano Cave, significa lasciare in mano a potenziali interessi futuri intere porzioni del territorio che sono già ora a rischio e che devono essere tutelate.
3) Spingere il riciclo per creare più posti di lavoro e chiudere le cave
Anche in Sicilia le opportunità generate dal recupero e riciclo dei materiali da demolizione sono enormi. Si deve rendere trasparente e tracciabile il percorso dei rifiuti da demolizione e ricostruzione coinvolgendo tutta la filiera edilizia e spingendo la creazione di consorzi.
Bisognerà investire in formazione delle stazioni appaltanti, di tecnici e lavoratori. Anche un cambiamento nell’approccio progettuale sarà decisivo per ridurre il prelievo da cava e l’utilizzo di discariche per i materiali scavati, con enormi impatti nei territori, unitamente a quelli per il trasporto. La sfida è soprattutto culturale, perché non esistono più ragioni tecniche o normative ad impedire l’utilizzo di materiali provenienti dal riciclo.
Fondamentale che i CAM (Criteri Ambientali Minimi) siano applicati in tutti i capitolati di gara, che devono essere rivisti per fare in modo che sia sempre presente un approccio “prestazionale” rispetto ai materiali, che non escluda quelli provenienti dal riciclo, e che fissi percentuali crescenti di utilizzo.
4) Controllo dei progetti di ripristino contestuale
E’ importante verificare che quanto richiesto dalla legge regionale sul ripristino contestuale venga svolto in piena rispondenza ai piani di coltivazione approvati, ovviamente in funzione della tipologia di cave. Anche perché non raramente avviene che le ditte, al momento di svolgere i ripristini e di affrontare i relativi costi, falliscono, inevitabilmente allungando i tempi di ripristino.
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