03.12.2012 – Dissesto idrogeologico, il bilancio di Legambiente. Leggi il dossier in allegato.
- data Dicembre 03, 2012
- autore ufficiostampa
- In Ambiente, Territorio
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Per riparare i danni del maltempo spendiamo un milione di euro al giorno. Solo nell’ultimo triennio – dalla colata di fango in provincia di Messina a inizio ottobre 2009 – lo Stato ha stanziato, infatti, più di un miliardo di euro per le emergenze causate da eventi calamitosi di natura idrogeologica in tredici Regioni.
Cifre molto elevate che coprono però solo una parte degli ingenti danni censiti in conseguenza di frane e alluvioni. In Sicilia, Veneto, Toscana e Liguria, le regioni colpite dagli eventi più gravi in questi ultimi 3 anni, è andato l’80% delle risorse stanziate, ma i danni ammontano a 2,2 miliardi di euro circa, quasi il triplo delle risorse messe a disposizione dei Comuni colpiti. Il restante 20% dei fondi per l’emergenza è andato alla Calabria, la Campania, la Puglia, le Marche, l’Abruzzo, l’Emilia, il Piemonte, il Friuli e la Basilicata.
Nel frattempo la prevenzione tarda ad arrivare. A fronte di una spesa prevista di 44 miliardi, negli ultimi 10 anni solo 2 miliardi di euro sono stati erogati per attuare gli interventi previsti dai Piani di assetto idrogeologico (PAI) redatti dalle Autorità di bacino, per uno stanziamento totale di 4,5 miliardi di euro. Fondi che sono destinati a coprire solo i lavori più urgenti, ovvero 4.800 interventi considerati di “maggior urgenza” su un totale di 15mila interventi previsti da tutti i PAI.
La metà circa di queste risorse è stata stanziata attraverso gli accordi di Programma siglati tra il Ministero dell’ambiente e le Regioni, proposti a partire dal disastro di Messina del 2009 e siglati tra il 2010 e il 2011. Ma ancora oggi dei 2,1 miliardi messi in campo attraverso il cofinanziamento Ministero-Regioni, solo 178 milioni sono stati effettivamente erogati e solo il 3% degli interventi previsti è stato realizzato o è in corso di realizzazione.
Per pianificare e programmare le politiche territoriali considerare gli effetti dei cambiamenti climatici è una realtà imprescindibile. Soltanto dai dati registrati dai pluviometri in occasione dei principali eventi recenti, si nota come in poche ore sia piovuto più della metà di quanto avveniva mediamente in un anno. La distribuzione delle precipitazioni nell’arco dell’anno risulta, inoltre, molto disomogenea, con periodi di forti piogge e altri di forte siccità, come illustrano l’estate appena trascorsa e gli eventi legati al maltempo delle ultime settimane.
I fenomeni metereologici intensi hanno perso la loro eccezionalità per diventare sempre più frequenti, come confermano i dati Ispra (Annuario dei dati ambientali 2011, Ispra 2012) relativi alla quantità di pioggia caduta nei principali eventi alluvionali dal 2009 ad oggi. In Sicilia, invece, nell’evento del 2009 la quantità di pioggia caduta in una sola giornata è stata pari al 78% della precipitazione media annua di tutta la regione. Negli eventi alluvionali della Toscana del 2010 e 2011, in una sola giornata, la quantità di pioggia caduta sul suolo è stata pari a circa il 40% delle precipitazioni medie annue della regione. In Liguria la quantità di pioggia caduta nelle due giornate più critiche del 2011 tra fine ottobre e inizio novembre ha superato il 65% della piovosità media annua della regione. E se frane e alluvioni non sono purtroppo una novità nel nostro Paese, i dati disponibili dal 1948 al 2011 mostrano come le regioni colpite siano raddoppiate negli ultimi dieci anni, passando da quattro a otto.
“Il dibattito è tuttora incentrato su come reperire le risorse da destinare al contrasto del rischio idrogeologico, che è un punto fondamentale – commenta il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza –. Occorre anche chiedersi, però, quale debba essere un’efficace politica di prevenzione e difesa del suolo, che non si limiti a interventi puntuali. Serve un Piano nazionale che preveda un’azione urgente ed efficace per la mitigazione del rischio, che stabilisca strumenti e priorità d’intervento e formuli una nuova proposta di gestione del territorio. Per questo è necessario il coinvolgimento di tutti i soggetti portatori d’interesse: la comunità scientifica, gli esperti, gli enti competenti, le amministrazioni locali interessate, il mondo dell’agricoltura, le associazioni ambientaliste e i cittadini che vivono nei territori a rischio. Inoltre – aggiunge Cogliati Dezza – la manutenzione del territorio assume un ruolo cruciale, soprattutto se tradotta in presidio territoriale svolto dalle Comunità locali. Infine si dovrà applicare una politica attiva di “convivenza con il rischio”, sistemi di previsione delle piene e di allerta e piani di protezione civile aggiornati, testati e conosciuti dalla popolazione”.
I costi del rischio idrogeologico. Il dossier di Legambiente
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