Operazione Fiumi di Legambiente e Dipartimento della Protezione Civile presenta i risultati inediti di Ecosistema Rischio 2011. Sicilia ancora fragile ed esposta a frane e alluvioni: Nel 91% dei comuni intervistati sono presenti abitazioni nelle aree a rischio idrogeologico e nel 58% fabbricati industriali.
- data Ottobre 29, 2011
- autore UFFICIO STAMPA
- In COMUNICATI STAMPA, Protezione civile
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Nel difficile contesto del dissesto idrogeologico nazionale, le problematiche della regione Sicilia assumono una rilevanza notevole. Sono ben 273 i comuni in cui siano presenti aree esposte al rischio di frane ed alluvioni secondo il report redatto dal Ministero dell’Ambiente e dall’Unione delle Province Italiane nel 2003, praticamente sette su dieci e sono le province di Messina e Caltanisetta ad avere la percentuale più alta di comuni a rischio idrogeologico (rispettivamente l’86% e l’84%).
Secondo i dati emersi dalla nostra indagine, il 91% dei comuni intervistati ha nel proprio territorio abitazioni in aree golenali, in prossimità degli alvei e in aree a rischio idrogeologico, e il 40% presenta interi quartieri in tali aree. Nel 58% dei comuni campione della nostra ricerca sono presenti in aree a rischio strutture e fabbricati industriali, che comportano in caso di alluvione, oltre al rischio per le vite dei dipendenti, anche il pericolo di sversamento di prodotti inquinanti nelle acque e nei terreni. Inoltre, nel 37% delle amministrazioni intervistate sono presenti in zone esposte a pericolo di frana o alluvione strutture sensibili e nel 28% dei comuni sono state costruite in zone a rischio strutture ricettive turistiche o strutture commerciali. Solo cinque (9%) fra tutti i comuni intervistati hanno intrapreso opere di delocalizzazione di abitazioni dalle aree più a rischio e in un solo caso si è provveduto ad avviare interventi di delocalizzazione di fabbricati industriali.
Nel 60% dei comuni intervistati in cui siano presenti zone esposte a rischio ancora non si realizza una manutenzione ordinaria delle sponde, delle opere di difesa idraulica e più in generale del territorio.
Questi dati, che dimostrano come nella regione Sicilia sia quanto mai urgente adoperarsi per la mitigazione del rischio idrogeologico e come debba rimanere alto il livello di attenzione per frane e alluvioni, sono emersi dall’indagine Ecosistema Rischio, realizzata da Operazione fiumi, la campagna di Legambiente e del Dipartimento della Protezione Civile dedicata al rischio idrogeologico nel nostro Paese. Il dossier è stato presentato questa mattina a Palermo nel corso di una conferenza stampa alla quale sono intervenuti Francesca Ottaviani, Portavoce della campagna nazionale Operazione Fiumi, Calogero Foti, Dirigente del servizio Provinciale Palermo del Dipartimento Regionale della Protezione Civile e Gianfranco Zanna, Responsabile Beni Culturali di Legambiente Sicilia.
“I tragici eventi di attualità riportati dalla cronaca nazionale in questi giorni rilevano quanto il nostro Paese sia esposto al pericolo di frane e alluvioni, fenomeni che stanno provocando purtroppo molte vittime e danni rilevanti -, spiega Francesca Ottaviani, Portavoce di Operazione Fiumi -. I dati emersi dalla nostra indagine sulla Sicilia restituiscono l’immagine di un territorio endemicamente fragile, in cui troppo spesso lo sviluppo urbanistico non ha tenuto adeguatamente conto del rischio. Mentre è prioritario mantenere alto il livello di attenzione rispetto all’assetto idrogeologico ed è urgente operare per rafforzare i vincoli all’urbanizzazione delle aree esposte a rischio, affinché vengano applicati in modo rigoroso”.
La realizzazione di interventi di messa in sicurezza, rappresenta certamente il primo elemento imprescindibile per la limitazione del rischio. Nel 48% dei comuni sono state realizzate opere di messa in sicurezza dei corsi d’acqua e di consolidamento dei versanti franosi. Tuttavia, riteniamo che tale dato vada valutato con attenzione. Dobbiamo rilevare che in Sicilia le attività di messa in sicurezza sono state volte soprattutto alla costruzione o all’ampliamento di nuove arginature (19%) e alla realizzazione di interventi di risagomatura degli alvei fluviali (23%); solo in due casi (4%) fra i comuni intervistati si è provveduto al ripristino e alla rinaturalizzazione delle aree di espansione naturale dei corsi d’acqua e solo nel 9% dei casi sono stati riaperti tratti tombinati o intubati dei corsi d’acqua. Nell’11% dei comuni si è provveduto al rimboschimento di versanti montuosi e collinari franosi o instabili.
“Negli ultimi anni, purtroppo, la Sicilia ha assistito non solo alla tragica alluvione di Messina, Giampilieri e Scaletta Zanclea – commenta Gianfranco Zanna, Responsabile Beni Culturali, Legambiente Sicilia – ma ad una serie di episodi che hanno dimostrato l’estrema vulnerabilità del territorio regionale dove ormai anche semplici temporali possono arrivare a provocare vere e proprie tragedie. Tutti questi casi di sfiorate calamità non sono conseguenza di fenomeni meteorologici imprevedibili, anche se particolarmente intensi, ma l’effetto della rottura di un equilibrio fragile e precario. Superato l’impatto emotivo, non si nota in Sicilia una concreta inversione di tendenza capace di rendere il territorio più sicuro dalle frane e dalle alluvioni, al contrario, – conclude Zanna -, si continua a puntare sull’industria del cemento ad ogni costo, come e più di prima e ancora tardano a realizzarsi interventi concreti di delocalizzazione delle strutture dalle aree a rischio e soprattutto, di demolizione dell’abusivismo”.
Migliore la situazione per quanto riguarda le attività di pianificazione d’emergenza, uno strumento fondamentale per la sicurezza delle persone, sia al fine di organizzare tempestivamente evacuazioni preventive in caso di piena sia per garantire alla popolazione soccorsi rapidi ed efficaci in caso di calamità, le amministrazioni comunali siciliane appaiono ancora in ritardo. Il 74% dei comuni, infatti, si è dotato di un piano da mettere in atto in caso di frana o alluvione, e il 56% delle amministrazioni campione dell’indagine ha aggiornato il piano negli ultimi due anni: fatto estremamente importante giacché disporre di piani vecchi può costituire un grave limite in caso di necessità. Nel 53% dei comuni intervistati è attiva una struttura di protezione civile operativa in modalità h24.
Complessivamente sono ancora troppe le Amministrazioni comunali siciliane che tardano a svolgere un’efficace ed adeguata politica di prevenzione, informazione e pianificazione d’emergenza. Soltanto il 16% dei comuni risulta infatti svolgere un lavoro positivo di mitigazione del rischio idrogeologico. Dati che confermano come tanta strada sia ancora necessario percorrere per ottenere una reale sicurezza dei cittadini di fronte al rischio idrogeologico.
Nessun comune siciliano raggiunge quest’anno il voto di eccellenza necessario per essere premiato da Legambiente e dal Dipartimento della Protezione Civile con la bandiera “Fiume Sicuro”, da esporre nel proprio territorio come riconoscimento del buon lavoro svolto nella mitigazione del rischio idrogeologico. I comuni più meritori fra tutti quelli che hanno partecipato all’indagine sono Camporeale (PA), Canicattini Bagni (SR) e Ribera (AG), che ottengono un 7 in pagella: a Camporeale, pur essendo presenti strutture nelle aree a rischio, sono stati avviati i primi interventi di delocalizzazione, esiste un piano d’emergenza di protezione civile aggiornato, sono state realizzate attività d’informazione rivolte ai cittadini ed è stata realizzata una regolare manutenzione delle sponde dei corsi d’acqua e più in generale del territorio. A Canicattini Bagni e Ribera non sono presenti strutture in zone esposte a rischio e nel secondo comune sono stati avviati interventi di delocalizzazione. I due comuni sono comunque attivati nella realizzazione di opere di manutenzione e messa in sicurezza.
L’altra faccia della medaglia in Sicilia è rappresentata dai comuni Caltabillotta e Ravanusa (AG), Nicosia (EN) e Salemi (TP) che, pur avendo la presenza di diverse strutture in zone a rischio, non si sono efficacemente attivati per una concreta opera di mitigazione del rischio né si sono dotati di un piano d’emergenza aggiornato.
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